Tigri perplesse fuori dalla gabbia
A voler credere alla Camera di Commercio Austriaca (un’istituzione alla quale, secondo una statistica che ho letto la settimana scorsa, gli Austriaci credono ancora meno che ai politici) l’età media di chi si mette in proprio è tra i 30 ed i 40 anni. Sarebbe questo il momento in cui, chi ha lavorato per anni in una grossa azienda, ne ha finalmente le scatole piene. La prima vera crisi di coscienza. Ci sono caduta a piè pari anch’io.
(La seconda grossa crisi pare arrivi poco dopo i 40, mi sto avvicinando a balzelloni. Secondo amici e conoscenti questa sarà ancora più dura, pare infatti che dopo i 40 ci abbandoni del tutto non la voglia di lavorare per un padrone, ma la voglia di lavorare)
Verso la fine del 2008 ho appeso il tailleur al chiodo e aperto un’attività tutta mia. Un negozio. Finalmente non devo più rendere conto a nessun capo di cosa faccio e perché, finalmente mi guardo allo specchio la mattina e mi sorrido.
Ma, come spesso nella vita, non è tutto oro quello che luccica. Perché oltre a fare il gran capo, il direttore marketing, il responsabile della logistica, l’addetta stampa e tante altre belle cose creative e di prestigio, faccio anche la commessa. Nonchè la donna delle pulizie. Attività, queste ultime, che mi ero ripromessa di delegare, almeno in parte, al più presto possibile.
Il più presto possibile è arrivato più tardi di quanto immaginassi – e non solo per motivi finanziari.
Negli ultimi quattro e passa anni ho lavorato come una schiava. Dal lunedì al sabato incluso, solo le feste comandate per tirare un poco il fiato. E provate a guardare il calendario con i miei occhi… le feste comandate sono pochissime, e a volte hanno persino l’ardire di cadere di domenica!
Fatto sta che negli ultimi quattro anni a parte le tre settimane – in totale – di ferie che mi sono concessa (trascorse ovviamente col patema d’animo di sapere il negozio chiuso) le domeniche e i pochi giorni di festa mi sono sempre scivolati tra le dita quasi senza che me ne accorgessi. Dormire un pochino più a lungo la mattina, caricare un paio di lavatrici, stirare, mettere vagamente in ordine la casa. E la stupidissima tendenza a star poco bene quando non devo lavorare. Ed è già lunedì.
I miei ritmi di lavoro ovviamente influenzano di brutto anche il Fidanzato Asburgico, che di suo potrebbe lavorare quando gli pare, il finesettimana, la notte, da casa, da un tavolino di un caffè, su una sdraio ai Caraibi. Invece no, il Fidanzato Asburgico lavora dal lunedì al sabato, dalle 10 alle 19, senza ferie e solo con le feste comandate pure lui. Una forma di rispetto nei miei confronti, se vogliamo, della quale gli sono infinitamente grata.
Sabato è finalmente arrivata la giornata storica. Rossella, sempre-sia-lodata, si è spupazzata il negozio da sola e mi ha regalato il primo sabato libero di una lunga serie (si spera, il contratto è a tempo indeterminato).
Per sabato mattina avevo addirittura puntato la sveglia. Non volevo perdermi nemmeno un attimo di questa giornata incredibile, il tanto agognato sabato – un finesettimana di ben due giorni.
Il Fidanzato Asburgico ed io abbiamo iniziato la giornata con il nostro solito rituale, caffè con la moka e lettura delle notizie del televideo. Rinfrancati nello spirito ci siamo lavati e vestiti, poi ci siamo guardati con aria interrogativa:
“Bene, ed ora?”
“Usciamo, vah!”
Una volta usciti dal portone ci siamo guardati intorno come due tigri che hanno sempre vissuto in uno zoo e per la prima volta trovano la porta della gabbia aperta.
Non sapevamo bene che farne di questa riconquistata libertà.
La sensazione non era completamente nuova. Mi ha ricordato un pochino i primi giorni delle vacanze scolastiche. O l’estate dopo la laurea, con tutto il mondo davanti.
Un misto di euforia e assoluta mancanza di un piano.
E anche una buona dose di senso di colpa, per dirla tutta. Non per il negozio abbandonato, sia chiaro, che di Rossella mi fido manco fosse mia madre e il tanto temuto panico della “mamma che lascia il neonato per la prima volta con la baby sitter” non è scattato. Con mio enorme sollievo.
Era piuttosto il sapore amarognolo del capitalismo. La consapevolezza di stare pagando qualcuno che lavorasse al posto mio. Perché, diciamocelo, di settimana da sei giorni lavorativi non è mai morto nessuno.
Mentre mi infagottavo bene nella sciarpa (fuori c’erano -5°C e mezzo metro di neve sporca e paciacchera semisciolta) mi sono scrollata di dosso i pensieri negativi e ci siamo avviati con passo incerto. Alla fine – è stato quasi un istinto naturale – abbiamo fatto quello che ci viene meglio, il Fidanzato Asburgico ed io: siamo andati a fare shopping.
EPILOGO: Per il prossimo finesettimana sto preparando una lista di robe da fare. Mi sono contemporaneamente ripromessa di non esagerare. In fin dei conti anche quando ti levano il gesso ci vogliono un paio di settimane per ricominciare a correre!