Due vite separate da un vetro

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Un paio di settimane fa è entrata in negozio una ragazzina con un faccino parecchio preoccupato. Le ho chiesto se potessi aiutarla, e le ha risposto di si: era alla ricerca di un negozio in cui poter fare una settimana di pratica per la scuola. E quel giorno lì era proprio l’ultimo utile, l’indomani mattina avrebbe dovuto riportare il formulario compilato in segreteria. È una cosa che non ho mai fatto, ma si sarebbe trattato solo di lasciarla osservare quello che facevo e magari spiegarle un po’ come funziona la faccenda. Perché no? – mi sono detta. È evidente che la ragazza non si è mossa per tempo, ma ha quindici anni e ora è nel panico più totale, un pizzico di karma positivo non può certo nuocermi; le ho risposto di si.

Leonora è venuta tutta la settimana scorsa, dalle 10 alle 18, dal lunedì al venerdì, a imparare un mestiere. E mi ha aperto gli occhi su un mondo. Un mondo che sapevo esistere, ma con il quale non ero mai davvero entrata in contatto. Tutta teoria letta sui giornali, di giovani ragazzi con il famigerato Migrationshintergrund (retroterra di migrazione), quelli che vivono in comunità straniere piuttosto chiuse, che a casa non parlano Tedesco, che hanno difficoltà a trovare un posto da apprendista appena finita la scuola dell’obbligo perché non sanno leggere, scrivere o far di conto. Pesci fuor d’acqua a casa loro. Perdonate la mia improvvisa caduta dal pero, gli unici teenager che frequento con una certa costanza sono i pupilli del Fidanzato Asburgico. E loro sono precisi uguali com’ero io a quell’età lì – solo aggiornati ai tempi che corrono, e un poco più fighi.

Leonora no, Leonora a me ha fatto l’effetto di essere appena sbarcata da un mondo alieno. Un mondo che io non so decifrare, davvero, con tutta la buona volontà, non sono in possesso degli strumenti necessari.

Leonora vive in Austria da circa tre anni, lei e la sua famiglia sono albano-kossovari, e prima che a Vienna hanno vissuto anche in Svizzera. Famiglia musulmana, per sua stessa ammissione non troppo credente. Leonora appena arrivata mi ha chiesto se poteva attaccarsi al w-lan del negozio. Quando ho risposto “certo” non la smetteva più di ringraziarmi. Poi ho capito. Ha passato talmente tanto tempo con il naso infilato nello smartphone che ho visto più spesso la sua nuca del suo viso.

Leonora parla Tedesco benissimo, praticamente con meno accento di me che sto qui da due lustri. Leonora è sveglia, allegra, buona come il pane.

Leonora ha i capelli lunghi fino sotto al sedere, e non la smetteva un attimo di lisciarseli. I miei capelli, lunghi una bella spanna sotto le spalle (che io già mi chiedevo se non fossero un attimo cafoni), le hanno fatto tanta tristezza

“Non ti preoccupare, vedrai che crescono ancora”.

La mamma di Leonora si è sposata a quattordici anni, a quindici ha avuto il primo figlio.

“Ma io no, eh, mamma dice che non devo per forza sposarmi a quindici anni se non voglio”.

La mamma di Leonora fa la cartomante. Una cosa alla quale io non ero assolutamente preparata a rispondere. Mi parlava di superstizioni come se fosse religione

“Come voi andate dal prete in chiesa noi andiamo dal ho-dimenticato-come-si-chiama che prima tu lo paghi, poi lui ti prende le mani nelle sue e ti dice subito cos’hai che non va. Ha aiutato tanto nel caso di mia zia”

“Ah, che era successo a tua zia?”

“Suo marito non l’amava più, bisticciavano continuamente”

“E lo sciamano che ha detto?” (ovviamente non l’ho chiamato sciamano, sia chiaro)

“Di guardare sotto al letto, avrebbe trovato un fazzoletto con dentro tre capelli, uno di lei, uno del marito, e uno di una donna cattiva che le vuole male”

“E l’ha trovato?”

“Ma certo! Ora è disperata perché hanno divorziato e non sarà mai più felice per il resto della sua vita, poverina, mai più”.

“Perché mai più? Ora è triste ma vedrai che prima o poi incontrerà un uomo che le vorrà bene”

“No! Sarà sola, per sempre, non si può fare nulla contro queste maledizioni”.

Leonora era anche, a modo suo, curiosa di conoscermi meglio. Mi ha fatto parecchie domande personali

“Quello che è passato è il tuo ragazzo?”

“Beh, si, diciamo compagno, vah, che siamo tutti e due sui quaranta”

“È Italiano?”

“No, è Austriaco”

“E i tuoi genitori che dicono?”

“I miei genitori gli vogliono bene, sono contenti”

“Anche se non è Italiano?”

“Si, Leonora, perché lo chiedi?”

“Da noi non sarebbe possibile, se non sposi un Albanese la famiglia prima ti rasa i capelli a zero e poi ti uccidono”.

Le ho chiesto di ripetere quest’ultima cosa, per essere sicura di aver sentito bene. Avevo capito bene. Anche se non sono sicura abbia capito bene lei.

“Siete sposati?”

“No”

“Perché?”

“Mah, perché ancora non l’abbiamo fatto”

Poi mi sono sentita un po’ cattiva influenza e ho avuto paura che la madre non la lasciasse tornare il giorno dopo. Ho aggiunto in fretta

“Ma ci sposeremo presto, non ti preoccupare”

Questo sembra averla tranquillizzata un po’.

“Ma lui è il tuo primo ragazzo?”

“Leonora! Ho quasi quarant’anni! Certo che non è il mio primo ragazzo!”

“Ah, no perché un’amica a scuola mi ha detto che le donne italiane si sposano vergini”

“Non tutte, Leonora, non tutte”.

Ho cercato di spiegare a Leonora in cosa consiste il lavoro della commessa. Di provare non ha avuto voglia, si impappinava a spiegare a me, per prova, che abbiamo due modelli diversi, quattro misure e tante stoffe diverse.

“Troppe informazioni tutte insieme!”

Visto che avevamo tanto tempo a disposizione, ho pensato di spiegarle anche un pochino come si mette in piedi un business.

“Per esempio, come è composto il prezzo di un prodotto? Prendi il prezzo di vendita al cliente: che so, 120€; poi togli l’IVA, che quella tu la incassi ma la devi restituire al Ministero delle Finanze. Ti restano 100€”

“Perché?”

“Perché il cliente finale paga sempre l’IVA, è una tassa. Il prezzo netto più il 20%, e 100€ più 20% fa proprio 120”

“Ah, certo che Lei è proprio forte in matematica!”

“Grazie. Dai tuoi 100€ devi poi scalare il prezzo d’acquisto del prodotto, che so, 40€. Quindi ti restano 60€”

“Però, è poco rispetto a 120”

“Si, è pochino. Comunque devi ancora calcolare altri costi; ad esempio la spedizione dal fornitore fino a te, la confezione, il sacchetto…”

“Uh, com’è difficile!”.

Più tardi sono passata alla distinzione tra costi fissi e costi variabili di un esercizio. L’ho tramortita per un pomeriggio intero.

Leonora non è scema, ma ha la capacità di concentrazione di un pesce rosso. Le ho chiesto di spolverare tutte le mensole, partendo da quelle lì in fondo a sinistra. È partita sparata, spolverato le prime due, poi si è distratta col cellulare.

“Tutte, Leonora, non solo le prime due”

“Ah, scusa” e riparte.

“Tutte, Leonora, manca il lato destro del negozio”

“Ah, scusa” e riparte.

La mattina dopo

“Che posso fare?”

“Spolverare le mensole, inizia in fondo a sinistra”

“Tutte, Leonora”

“Ah, scusa”

In cinque giorni non c’é stato verso che se lo ricordasse.

Io a Leonora ho voluto bene, a modo mio. Ma non sono sicura se ne sia accorta. L’ultimo giorno, quando è andata via, avrei voluto spiegarle che in futuro deve stare attenta.

Questo è il suo ultimo anno di scuola e poi si cercherà un lavoro. Volevo dirle che sul lavoro non avrà la struttura dietro che la costringe a fare quello che deve. Non avrà gli insegnanti che le chiedono se ha fatto i compiti. Volevo dirle di fare davvero attenzione, che se ti scordi di spolverare tre quarti delle mensole una volta, sul lavoro te lo dicono. La seconda pure. Ma se te lo scordi tutti i santi giorni, non ti danno un brutto voto, ti licenziano e tanti saluti.

Volevo dirle di non preoccuparsi, che troverà un bravo giovane che se la sposi. E che non dovrà nemmeno essere albanese, che le minacce della famiglia escono dal trapassato remoto e qui in Austria può fare come le pare. Anche tagliarsi i capelli, se vuole. Avrei voluto dirle tante cose, anche solo che mi vergognavo di aver parlato tanto di integrazione e multiculturalità per poi toppare così clamorosamente con lei. Ma non ci sono riuscita.

Mentre mi abbracciava stretta ho biascicato

“Se ti serve qualcuno con cui parlare in futuro io sono qui”.

Lei ha sorriso imbarazzata – come ha fatto tante volte, e io ancora mi chiedo se era vero imbarazzo per il contenuto o un modo per mascherare il fatto di non avermi capita – poi si è incamminata con il naso infilato nel cellulare. È uscita dalla mia vita rapidamente come c’era entrata, ma più che sfiorarci non abbiamo fatto. Addio Leonora, ti auguro tanta fortuna, ne avrai bisogno.