Quelli che non rispondono alle e-mail

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È un argomento che riciccia con regolarità. Quelli che non rispondo alle e-mail.

Ci sono inciampata un paio di giorni fa, leggendo un libro di Severgnini, quando racconta la storia di una ragazza che ha inviato centinaia di CV senza mai ricevere alcuna risposta. E ieri di nuovo, una lettera ad Italians in cui un tizio si lamenta di non ricevere mai risposta alle molte e-mail che manda.

Dato che io sono colpevole, molto colpevole, ci ho ragionato su un po’.

Ora, di e-mail personali io ne ricevo davvero poche. E non solo perché molta comunicazione privata passa per altri canali (sms, facebook, blogs), io di e-mail private ne ho sempre ricevute pochissime. Certo, non vuol dire che la mia casella di posta non sia ingolfata, come quella di tutti i comuni mortali. Pubblicità, spam, newsletter alle quali mi sono iscritta, newsletter alle quali non mi sono iscritta, principi africani in cerca di finanziamenti, vedove americane che non sanno più dove sbattere i soldi ereditati dal marito… potrei continuare per ore.

Il filtro della spam poi, rema spudoratamente contro di me: se lo imposto troppo stretto poi non mi arrivano le foto del gattino che mia mamma ha appena adottato; se lo rilasso un attimo mi arrivano talmente tante offerte per il Viagra che un poco mi spavento. Ma sempre poco o niente sul frontepotrebbe meritare una risposta.

Deve quindi essere un problema di lavoro, non ho più dubbi.

Ho quindi ripensato a quando lavoravo in una casa automobilistica come brand manager per una marca italiana. E in effetti ricevevo un centinaio di email al giorno, il 95% inaspettato e non richiesto.

Quasi tutte da gente che voleva soldi, una fetta del mio budget per comunicazione e pubblicità. Giornali e pubblicazioni ridicole mi proponevano inserzioni carissime, proposte per sponsoring che non avrebbe visto mai nessuno, concorsi, giochi, idee balzane.

“Salve! Sono un giovane aspirante giornalista/fotografo, ed ho avuto un’idea geniale! Voi mi regalate un’automobile, io la guido da Palermo a Capo Nord e faccio un bel servizio fotografico. Se e quando troverò un giornale che me lo pubblichi, farò il nome della vostra ditta”. (storia vera)

Giuro che dopo un paio di mesi smisi di rispondere “si rivolga alla nostra agenzia media”, ero stremata.

C’erano poi quelli convinti che se fanno una domanda, abbiano automaticamente diritto ad una risposta. Un po’ come se io mi mettessi a fermare i passanti chiedendo che documenti ci vogliono per commutare la patente da italiana a austriaca. Per poi sbraitare “‘Ma che cretini! Non lo sa nessuno!”

Eppure succedeva spessissimo:

“Salve! Qual é il titolo della canzone di sottofondo del vostro spot pubblicitario?”

“Salve! Qual è il codice Pantone del blu scuro di una Lybra immatricolata nel 1998?”

Ma non ero un pelo sovradimensionata, io, per domande di questo calibro? Ma chiamate il call-centre, no? Che se mi avesse beccata il mio capo a rispondere a ‘ste richiestine spicciole, mi buttava fuori con la ramazza.

Gli anni passano ed ora ho un piccolo negozio, vendo cappelli. Eppure gli sciacalli della pubblicità non hanno mollato l’osso. Mi scrivono non sollecitati con un’offerta qualsiasi, poi chiamano tre settimane dopo, piccati:

“Non ha risposto alla nostra mail!”

“Quale mail?”

“Quella del 12 novembre, con l’offerta per lo speciale sulla moda ecologica”

“Ah, bene, vi mando materiale io o venite voi a fare un’intervista?”

“No, ha capito male, era il nostro listino prezzi per le inserzioni”

-clic-

O ancora le anime candide:

“Salve, sono un giovane Italiano alla canna del gas. Vedo che lei ha un negozio a Vienna e a me piacerebbe emigrare. Mi potrebbe assumere? Faccio qualunque cosa, pulisco il bagno, lavo i vetri. Non parlo tedesco ma imparo in fretta”. (storia vera, in molteplice copia)

Mi si stringe il cuore ogni volta, ma insomma! Non tutti hanno tempo e/o voglia di ribadire l’ovvio agli sconosciuti. Il problema – lasciatemi azzardare questa ipotesi fantasiosa – non sono i cattivoni che non rispondono mai. Il problema sono quelli che mandano email inutili, ecco.

La smettessero una buona volta e, come per magia, le pochissime email interessanti ma non richieste, non si perderanno più nel bailamme.

 

PS Attenzione, la mia non è una sparata contro le candidature spontanee. Ne o mandate diverse anch’io in vita mia, ed ho pure fatto un paio di colloqui di lavoro che ne sono risultati. Mesi fa ne ricevetti una particolarmente sensata: al posto che “vivo a Vicenza, non parlo tedesco, se mi assumi parto domani con moglie e figli”, raccontava “arrivo a Vienna tra un paio di mesi, parlo bene tedesco, cerco un lavoretto mentre continuo gli studi”. La superqualificatissima Rossella lavora con me da gennaio…