Paese che vai… l’anima verde
L’Austria è un Paese in cui sul tema ecologia non si scherza. Forse a causa della vicinanza ai cugini tedeschi – che i Verdi praticamente se li sono inventati – o anche grazie ad una evidente ricchezza diffusa – per cui una volta risolti i temi casa, lavoro e salute, avanzano soldi (ma anche energia) da dedicare a temi meno urgenti. Che, obiettivamente, a un disoccupato che vive ancora nella cameretta della sua infanzia, se le uova della frittata sono da allevamento in gabbia, a terra o super-biologico, è una roba che gli passa accanto fischiando.
Ci ho messo un pochino di tempo ad accorgermene. L’unico dato lampante era la presenza in città di una quantità sproporzionata – per il mio standard italiano – di biciclette. Perché in fondo quando ti fanno conoscere qualcuno mica ti dicono:
“Ti presento Emma, compra solo biologico”;
“Piacere Phillip, sono vegetariano e uso solo il trasporto pubblico”;
“Ciao, sono Klaus, sono un ambientalista convinto e ho trascorso le vacanze estive incatenato a un treno merci che trasportava rifiuti radioattivi”.
Una volta notata la faccenda, però, è impossibile levarsela dalla testa.
Qui in Austria il reparto biologico al supermercato è enorme, e cresce di anno in anno. In alcuni quartieri addirittura il reparto frutta e verdura bio è più grande di quello normale. Una buona metà dei miei amici e conoscenti è vegetariana, un terzo si alimenta solo con prodotti biologici.
Siamo quindi usciti da parecchi dalla fase in cui il khomeinista biologico viene guardato come un pazzo eccentrico, alla stregua di uno che si ostini a vestirsi tutto di viola. E la volta che inviti semi-sconosciuti per cena fai automaticamente attenzione ad avere un’alternativa vegetariana pronta.
Con il passare degli anni, anch’io mi sono adeguata. E come con tante cose nella vita ho declinato questa tendenza ecologica a modo mio.
Giro sempre col sacchettino di cotone in borsa per la spesa. Faccio relativamente attenzione alla provenienza dei prodotti che compro. Più con gli alimentari che con l’abbigliamento, confesso. Il mio sdegno di fronte ai kiwi trasportati con l’aeroplano dal Cile è molto più violento che non di fronte ad un bel paio di jeans che mi fanno un sedere da urlo made in China. E quando mamma mi spedisce un pacchettino con dentro una maglietta del mio brand italiano preferito (introvabile qui), più che ilmade in India sull’etichetta mi scandalizza il doppio strato di plastica in cui è avvoltolata.
Perché la verità è che spesso ci scegliamo un tema che ci sta a cuore, una guerra da combattere che sentiamo nostra. E non ci facciamo mancare nessuna battaglia. Mentre su altri temi, per mancanza di vigore, cuore o anche semplicemente attenzione, sbattagliamo solo una volta ogni tanto.
La mia guerra personale è contro le confezioni e gli imballaggi inutili.
Spessissimo rifiuto il sacchetto alla cassa e infilo allegramente il nuovo acquisto in borsa. E se la sera ho in programma di cucinare le zucchine ripiene, ma al supermercato non trovo quelle biologiche, non ho problemi ha comprare quelle normali. Ma se le uniche zucchine che hanno sono in una tazzina di polistirolo, avvoltolata nella plastica e coronata da una banderuola di cartone, allora si che mi allontano scandalizzata.
Ecco, mentre altri sognano un mondo senza centrali atomiche, senza fertilizzanti chimici, senza organismi geneticamente modificati o senza sweatshops, io anelo ad altro.
Io sogno un supermercato dove andare armata di bottiglie e barattoli. Da riempire di latte, zucchero, pasta, detersivo, miele, biscotti, farina, yoghurt, vino rosso, orsetti gommosi, patatine fritte…
E una pattumiera vuota.