Paese che vai… La camera da bagno
Le persone si abituano a tutto, è solo questione di tempo: più sono dure le condizioni alle quali bisogna adattarsi, più tempo ci vuole. Per esempio ci vuole forse un millisecondo per abituarsi alla lussuosa camera d’albergo vista mare; ci vorranno invece anni per abituarsi a una malattia cronica. Suona ragionevolissimo, vero?
Sbagliato!
Mi sono trasferita dal Centro Italia a Vienna che era inizio secolo, ho quindi avuto più di dieci anni di tempo per abituarmi a certe perversioni austriache. Non sempre ha funzionato.
Non sto pensando a robe vistose, che so, il freddo, la neve, la lingua, quelle me le aspettavo e le ho semplicemente accettate – o per lo meno mi sono adeguata nel guardaroba. Penso piuttosto a piccoli dettagli, impercettibili differenze che a prima vista non le noti nemmeno. Accettare e adottare modi di fare diversi, o rifiutarli, è un’attività che definisce molto bene quanto uno straniero sia integrato nel Paese ospitante. Sono, a pensarci bene, le stesse piccolezze che scatenano il famigerato cultural shock, ma sto divagando, ché quella fase è passata da un pezzo.
Ora, saranno più di dieci anni, ma con alcune di queste piccolezze ci sbatto ancora la testa ogni giorno. Vale la pena ragionarci su un po’.
La prima categoria si chiama si grazie! Peculiarità austriache che ho immediatamente e permanentemente abbracciato. Con entusiasmo, oserei.
La passione per i pavimenti di parquet, ad esempio, è stata una piacevole sorpresa per un’abitante della piastrellatissima Italia. Caldo, invitante, e a camminarci sopra fa anche un rumore interessante.
O questa storia che qui in casa tutti si tolgono le scarpe. È una cosa ovvia, persino a scuola i bambini se le levano e si infilano le pantofole. Chissà perché, invece, quando chiedo ai miei genitori, o ad amici italiani in visita, di togliere le scarpe inzaccherate di neve in ingresso, mi guardano con un faccino interdetto – manco gli avessi chiesto di levarsi le mutande.
E le notizie del telegiornale? Dieci minuti, uguali sul primo e sul secondo, fantastico! Niente sfilata di testine parlanti, una per ogni partito, che blaterano ma non rispondono mai alla domanda. Il semplice fatto di non dover scegliere un telegiornale in base alle tendenze politiche è un tale sollievo.
La seconda categoria si chiama si capisco. Comprendo appieno il motivo per cui fate così, sono razionalmente d’accordo. Però… ecco, propriamente a mio agio non sono.
La prima grossa sorpresa l’avevo avuta il giorno in cui – ancora in cerca di casa – ho visitato il primo appartamento viennese. Quando l’agente immobiliare mi ha mostrato il bagno ho dato una bella occhiata in giro ed esclamato:
“Qui manca qualcosa!”
Mancava infatti la tazza del cesso.
Ero in Austria da tre giorni e il mio vocabolario era – per usare un eufemismo – molto limitato; non fu facile spiegare all’agente immobiliare cosa mi turbasse. Dopo una lunga sessione di Pictionary (arrossisco al solo ricordo) lui prima diventò rosso come un peperone, poi si fece una risata liberatoria, poi mi mostrò la toilette, uno stanzino di un metro quadro con dentro nient’altro che la tazza, il portarotolo, lo scopino e un lavandino dei puffi.
Oggi sono finalmente convinta che la toilette separata dal bagno sia una cosa molto assennata; che alcune attività, tipo fare la riga bella dritta con l’eyeliner, si possano espletare contemporaneamentema anche fisicamente separate da altre – la peperonata di ieri sera, tesoro?
Se però ho ospiti in casa, o – orrore! – se sono io a casa di qualcun altro, avrei piacere che la faccenda non fosse così lampante. Sarà solo un film che mi faccio in testa, ma se la tazza fosse nella camera da bagno, gli altri potrebbero sempre pensare che sono andata a lavare le mani, o a controllare la riga dell’eyeliner, tiè. Qui in Austria no, la toilette è la toilette, e se ci devi andare non ci sono dubbi su cosa devi fare. Tanto varrebbe alzarsi da tavola e dichiarare onestamente:
“Scusate un attimo, vado a pisciare!”
La terza categoria si chiama semplicemente no grazie. Non mi arrenderò mai. Mai.
La pasta scotta come contorno è una roba così. Il mio limite personale è il riso pilaf, thank you very much.
O il rapporto di co-dipendenza tra gli Austriaci e l’alcool. All’inizio ero contemporaneamente impressionata e atterrita dalla quantità di birra che le ragazze locali riescono ad ingurgitare in una serata sola. Il mio italianissimo limite era una birra piccola – poi cominciavo a sentirmi un po’ storta. E, ancora oggi, devo regolarmente ascoltare le battutone che tutti si sentono in dovere di fare quando rifiuto di ordinare al terzo giro:
“Wow! È davvero economico per te!”
Come se lo scopo per cui uno esce con gli amici sia quello di ‘mbriacarsi, più rapidamente ed economicamente possibile. Dopo anni di duro allenamento non sono riuscita ad alzare i mio limite di molto. Ora bevo una birra piccola e mezza prima di sentirmi leggermente brilla. E se prima ho mangiato sassi, magari persino due. Non sono soddisfazioni.
Le difficoltà più grosse le trovo invece ad accettare la passione smodata per i titoli, accademici e non. Pensavate che in quanto a dottore l’Italia fosse il fondo del barile? Sbagliato! In Austria hanno cominciato da decenni a grattarlo, il fondo del barile.
Quando il marito di Luise ha finito il dottorato è diventato Herr Doktor. E lei per riflesso pure! Quando va dal medico la chiamano dalla sala d’attesa con un bel Frau Doktor. Luise, che è da anni impantanata con i suoi studi in storia dell’arte, si rode di brutto, ma di brutto… Frau Doktor, invidioso e misogino in un colpo solo! A un professore del liceo, che è sempre stato apostrofato con Herr Lehrer (trad: Signor Insegnante), dopo trent’anni di carriera, gli scatta automaticamente la promozione a Herr Ober-Lehrer (Signor Sovra-Insegnate). E, garantito, la moglie si offenderà come un gatto se ve lo siete scordati.
O magari non lo sapevate proprio, e non avete nemmeno mostrato troppa attenzione mentre ve lo spiegava. Che scostumati questi Italiani!
PS Ci sarebbe anche da scrivere un trattato sulla forma delle tazze del cesso austriache. Ma non sono sicura di avere abbastanza sinonimi a mia disposizione… ci devo pensare su.