Lasciar andare le cose

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Io ho difficoltà a lasciar andare le cose. Intendo proprio le cose materiali, oggetti da toccare, annusare, spolverare, usare. E non è un caso che diversi attrezzi in casa mia abbiano un nome proprio, Giacomo-il-frigorifero-gigante, Serafina-bicicletta-sopraffina, Hauspilz. E forse non è un caso manco il fatto che sia il Fidanzato Asburgico che io siamo parecchio caotici. Amiamo l’ordine ma detestiamo mettere a posto. Drammatico, a pensarci.

A titolo di esempio, qualche mese fa portai a casa dal negozio otto-nove scatoloni giganteschi, tipo un metro di lato ciascuno, perché dovevo liberare il posto per alcuni lavori di ristrutturazione. Un paio li nascosi in camera da letto dietro la porta, un paio in un angolo dello studio del Fidanzato Asburgico, i restanti li impilai uno sopra all’altro  in soggiorno, subito dopo l’ingresso, creando un simpatico disimpegno. Il Fidanzato Asburgico rognò parecchio, ma nel giro di pochi giorni si era abituato anche lui all’ingombrante presenza. Anzi, gli scatoloni erano comodissimi per appoggiarci sopra la borsa, la sciarpa e il cappello appena entrati in casa, mentre ancora si traffica con la giacca e le scarpe. Sono rimasti lì due mesi, ben oltre la fine dei lavori in negozio. Quando finalmente li abbiamo riportati indietro, per una settimana, il soggiorno ci è sembrato un palazzetto dello sport.

È una bestiaccia, questa tendenza a non fare ordine per tempo. Significa che io spesso e volentieri mi abitui a qualcosa di leggermente stonato, e poi non riesca poi più a liberarmene. E non parlo di roba vintage, tipo la grattugia traballina per formaggio, che è un gafano tremendo ma non si può sostituire perché era di mia nonna materna. O il piccolo trita-erbette a manovella anni ’50 che io mi ostino ad usare, ereditato dall’altra nonna, che è un casino da pulire ogni volta – vetro, latta e gomma vulcanizzata che si sgretola solo a guardarla. Questa è piuttosto una forma di collezionismo. E si concentra sulla cucina, e marginalmente sull’armadio dei vestiti.

L’esempio più classico di cosa intenda è il piattino che vedete nella foto, che a casa nostra è piazzato accanto al lavello della cucina. Contenuto standard: una saponetta e una spazzolina per le unghie. Più la new entry del 2014, il cosino per strofinare le mani dopo aver trafficato con aglio e cipolle. Anche se, confesso, a-d-o-r-o il cosino dopo aver affettato le cipolle, ma dopo aver tagliuzzato l’aglio non lo uso mai. Come scriveva Isabel Allende: uno dei grandi piaceri della vita è annusarsi la punta delle dita dopo aver tagliuzzato l’aglio. Ma questo alla mia Gemella, che me l’ha regalato, non glielo diciamo, vero?

Ora, la spazzolina, che uso soprattutto per grattarmi via dalle mani i resti di pasta della pizza, è troppo morbida. Cioè, alle croste di pizza sulle mani, quella spazzolina lì gli fa le carezzine, altro che grattare via! Solo che la spazzolina me l’ha regalata un’amica. Ed è a forma di porcellino! Troppo, troppo carina. Morale: ogni volta che la uso penso che è troppo morbida, mannaggia; ma buttarla via non è un’opzione. Mi è troppo cara.

E quella saponetta? Mai visto robe tanto schifose, tranne forse che nei bagni di certe officine di auto meccanica, quelle nella provincia più sperduta. Io lo so benissimo perché è lì, e ieri sera ho fatto un test, ho chiesto al Fidanzato Asburgico se la saponetta non gli facesse un po’ schifo e se ne ricordasse la provenienza. Non solo la saponetta è appostissimo per lui, si ricordava benissimo

“È sapone di Marsiglia importato dall’Italia, l’abbiamo scartata e messa lì nuova nuova, insieme, il giorno che ci siamo trasferiti in questo appartamento. Sono sei anni, ma è ancora lei”.

L’ho abbracciato immediatamente, stretto stretto. Capite perché non posso cambiare la saponetta, non importa quanto disgustosa sia?

Il campione assoluto rimane però un cestello di rete metallica con le ventose dietro, comprato per appiccicarlo sulla parete della doccia del mio primo appartamento viennese – che era, mi piace ricordarlo, il primo appartamento in cui io vivessi da sola. Le ventose avevano uno scopo molto sensato: ero di passaggio in Austria, con un contratto di lavoro, e un contratto di affitto, da un anno e mezzo. L’idea era di, al momento di traslocare, staccarlo, incartarlo, e portamelo via. Una cosa che, in effetti, ho fatto parecchie volte, nel corso dei miei dodici anni asburgici ho cambiato casa cinque volte, e il cestello mi ha seguita fedelmente. Ora è appiccicato sopra al lavandino. Ovviamente dodici anni dopo il cestello mostra chiari segni d’invecchiamento: è incrostato di strati e strati di sapone che non vengono più via manco con la varecchina, e scolorito in toni che variano dal verde smeraldo al rosso ruggine; una ventosa non tiene più bene, e spesso si stacca, in genere durante la notte, e il rumore di saponette &co che cadono rovinosamente sulle piastrelle mi ha svegliata di soprassalto diverse volte. La mia soluzione istintiva non è stata buttare via l’attrezzo, ma metterci dentro una spugnetta per i piatti, sulla quale appoggiare la saponetta, in modo che non scivoli quando il tutto crolla. Questo accadeva cinque anni fa, e la spugnetta si è rivelata praticissima. Non solo non devo più andare a ripescare il sapone da dietro la lavatrice, ma la uso regolarmente per pulire lavandino e vasca da bagno col Cif. È sempre lei, e vi lascio immaginare quanto sia ammaccata. Un simbolo, ne sono convinta, del mio sentirmi sempre un po’ provvisoria. E provvisori, il Fidanzato Asburgico ed io, ci siamo sempre sentiti anche dove viviamo adesso. Il cestello resta.

Solo che a Capodanno sono stata a casa di un’amica, una casa bellissima e curatissima. In ogni bagno, anche la toilette di servizio, dove non entra mai nessuno se non a cambiare la sabbietta del gatto, c’è un bellissimo portasapone perfettamente intonato all’arredamento. Con sopra, non una, ma due bottigline identiche, una con il sapone e una con la crema per le mani. Una cosa raffinatissima (senza toni scherzosi, lo trovo davvero bello). Poi penso al nostro cestello e alla spugnetta… ecco, forse all’alba dei quaranta mi sta salendo una vaga voglia di portasapone seri. Che sia ora di lasciar andare il cestello e mettere radici?