Il tipo sul divano

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L’autunno scorso il Fidanzato Asburgico e i due giovanissimi musicisti dei quali è manager e produttore, sono stati per la prima volta in studio di registrazione.

Il Fidanzato Asburgico mi aveva chiesto

“Hai voglia di raggiungerci dopo il lavoro? Così, tanto per farci compagnia, per vedere…”

E io avevo accettato con entusiasmo. Sono una persona curiosa, e nonostante io non capisca un tubo di musica, l’idea di fare un’esperienza nuova mi alletta sempre. Anzi, più è stramba e più mi attrae.

Quando sono arrivata, avevano già cominciato da un paio d’ore. Nella prima pausa sono entrata nello studio, sulla parete di fronte c’era un divano scalcagnato con borse e cappotti. Mi ci sono messa su comoda e osservato con moderato interesse i macchinari misteriosi pieni di levette e il groviglio mostruoso di cavi.

Al momento del take successivo i ragazzi e il Fidanzato Asburgico si sono infilati in testa le cuffie. Senza proferir parole il tecnico ne ha porta una anche a me. E ho realizzato una cosa buffa: io ero il tipo sul divano!

Fateci caso, in ogni film che tratti di una band musicale, nelle scene in cui fanno prove in garage o in studio, c’è sempre un tipo spaparanzato sul divano. È sempre e solo uno, non parla mai, non interagisce con gli altri, non si capisce come mai sia lì. Tutti sembrano ignorarlo.

Il tipo sul divano è una figura quasi mitologica, della cui esistenza si vocifera da anni, la cui esistenza rimane tutta da provare. Un po’ come con Nessie. O le donne magre per natura.

Ergo, tutti – persino i pochi che l’hanno intravisto una volta – sono convinti che non sia nient’altro che un bias letterario, una versione scalcagnata del miles gloriosus di Plauto, o del professore pazzo di Ritorno al Futuro. Niente di più che una running gag. Ma come per i proverbi, i cliché e i pregiudizi, anche dietro alle running gag c’è sempre un fondo di verità.

Chi non bazzica studi di registrazione non ha grandi occasioni, a parte il cinema, per osservare il tipo sul divano nel suo habitat naturale. Ma dato che il tipo sul divano non si muove mai, non parla, e per giunta tutti i presenti sembrano ignorarlo con convinzione… il tipo sul divano non lo se lo fila mai nessuno.

Ai primi di agosto il Fidanzato Asburgico ed io parlavamo della piccola vacanza che sarebbe iniziata pochi giorni dopo. Niente di spettacolare, si andava giù a Roma dai miei. L’iniziativa l’aveva presa il Fidanzato Asburgico, che voleva fare una sorta di clausura con i ragazzi per l’album prossimo venturo.

Gli avevo chiesto

“Senti un po’, avete qualcosa in contrario se mentre fate prove e controprove lo Zio Tino fa il tipo sul divano?”

Nota: Lo zio Tino è il fratello di mamma e vive con i miei da molto prima che io nascessi. Non è facile spiegare il suo ruolo, un po’ come spiegare la musica ad una persona sorda dalla nascita. Ma la mia famiglia consiste in mamma, papà e zio Tino. E parafrasando il mio terzo incipit letterario preferito (dopo Chiamatemi Ismaele e Era una notte buia e tempestosa)

“Tutte le famiglie normali si assomigliano fra loro, ogni famiglia stramba è stramba a suo modo”. Ma sto divagando.

Lo zio Tino è infatti un appassionatissimo chitarrista autodidatta, e ero sicura che avrebbe avuto molto piacere di stare lì in un angolo ad ascoltare uno dei migliori chitarristi, per quanto quindicenne, in circolazione in Europa.

La prima metà della risposta del Fidanzato Asburgico era quello che mi aspettavo

“Preferisco chiedere ai ragazzi, in fin dei conti hanno 14 e 15 anni, magari si imbarazzano”.

Il postillo invece non me lo aspettavo

“E ovviamente dovrebbe stare zitto e non immischiarsi”.

Ci sono rimasta decisamente male.

No, perché io sono il tipo sul divano ufficiale dei ragazzi, so quindi bene come comportarmi. Avrei certamente saputo spiegare allo Zio Tino le regole del gioco.

Le quali regole del perfetto tipo sul divano sono pochissime, ma ferree:

  • Non interrompere, non disturbare.

E mi pare anche ovvio. Analogamente ad un osservatore neutrale dell’ONU, il tipo sul divano non ricopre alcun ruolo attivo.

  • Non parlare se non interpellato.

E sembra cattivo a scriverlo così, ma il tipo sul divano non se la prende mai. Anche perché viene regolarmente interpellato, persino io che non capisco un tubo di musica e sono stonata come una campana.

E basta, questo è quanto.

In compenso, il tipo sul divano ha un sacco di libertà. Può tenere il tempo facendo ballare un piede, ad esempio. O fare faccine strane se qualcosa gli suona sbagliato o se ha un’idea geniale che vorrebbe condividere. Può cercare (senza troppa insistenza, si intende, che quello sarebbe disturbare) lo sguardo dei musicisti o del produttore, se lo conosce bene persino del tecnico, nella speranza di venir interpellato e di esporre la sua idea. E a volte capita davvero di venire interpellati dopo una faccina. Non deve sempre fare attenzione, se gli va può distrarsi tranquillamente. Idealmente può stare tutto il tempo incollato a facebook sullo smartphone. Idealmente perché gli studi di registrazione sono sempre in cantina e non c’è mai campo. Ma può tranquillamente leggere un libro. Sconsiglio il giornale, che fa troppo rumore. E, soprattutto, quando si fa una pausa per mangiare qualcosa, può correre a prendere la pizza a portar via per tutti, sentendosi finalmente utile.

 

PS si, quella nella foto qui sopra sono io. Non c’è il divano, solo una poltrona imbottita (comodissima, tra l’altro), e non ho su le cuffie. Ma posso spiegare: era uno studio di prova. Negli studi di registrazione il divano c’è sempre. Sempre.