Il pacchetto della mamma – Ravioli parte seconda
I miei genitori vengono regolarmente a trovarmi a Vienna, ogni anno, una volta in primavera e una volta in autunno. E io – che lavoro dal lunedì al sabato e ho libere solo le feste comandate – sono loro molto grata. Non mi tengono il muso, non fanno terrorismo psicologico – semplicemente, quando hanno voglia di vedermi, salgono in macchina e partono.
Ora, non ho ancora capito bene perchè, ma mia mamma è convinta che io viva non in Austria, bensì nella Germania dell’Est. Negli anni ’50.
Nella sua fantasia a Vienna i negozi sono vuoti, o al massimo c’é la fila fuori per accaparrarsi un tozzo di pane nero. Ovviamente, qando arriva, vede bene che al supermercato vendono il Parmigiano Reggiano, la mozzarella di bufala e il panettone Motta (per quanto a prezzi da gioielleria) ma questa consapevoleza sembra abbandonarla istantaneamente non appena passato il confine al Tarvisio sulla via del ritorno. Ogni volta.
Prima che partano, vengo bombardata di domande:
“Quante scatole di pelati ti porto?”
“Nessuna, mamma, trovo quelli a pezettini all’iper dietro l’angolo”
“Uff. E i taralli ai semi di finocchio li trovi? Ne vuoi otto e ventiquattro pacchetti?”
“Otto bastano, grazie.”
E così via per un paio di settimane.
Un pochino, per dirla tutta, l’ho fomentata io. Undici anni fa, al supermerato, di italiano vero si trovava molto meno. Avevo quindi sviluppato un caso piuttosto grave di sindrome da pacchetto della mamma.
È una malattia molto comune tra gli espatriati. Ha a che fare con i vermicelli nascosti in valigia, ha risvolti ridicoli, ma motivi un tantino più profondi. Si tratta, in sostanza, della spasmodica ricerca del prodotto gastronomico italiano d’importazione propria. Perché offrire agli ospiti i vermicelli (cottura 14 minuti) trascinati in borsa dopo l’ultima vacanza in Italia, al posto degli spaghetti Barilla (cottura 8 minuti) del supermercato locale… francamente, non ha prezzo. I primi, infatti, sono una raffinatezza che solo io posso permettermi. I secondi un’italianata che possono comprare cani e porci. Non esiterei a definire il vermicello De Cecco il simbolo vero dell’espatriato italiano.
L’ordine telefonico alla mamma, prima dell’ultimo giro al supermercato in cerca di esotiche prelibatezze introvabili a Vienna, è però un esercizio che, con il passare del tempo, diventa sempre più difficile. Mentre 10 anni era facilissimo riempire la valigia/il bagagliaio – Aperol, mozzarella di bufala, olive taggiasche, dado da brodo di pesce, bresaola sottovuoto – ogni prodotto italiano che viene lanciato sul mercato austriaco mi ruba parte del divertimento. Ricordo ancora con orrore quando vidi i vasetti di Amarena Fabbri allineati sulla mensola del Billa sulla Kirchengasse. Una rabbia!
Oggi poi, che al supermercato trovo la burrata e i cantuccini, per ordinare alla mamma sono dovuta diventare più creativa. La selezione aggiornata al 2012 prevede: Pane Carasau, guanciale a cubetti per la carbonara, un paio di formati esotici di pasta, salsiccie di prosciutto nel frigorifero attaccato all’accendisigari, e – ammetto a malincuore la debolezza – Carne Simmenthal.
Quello che io ordino e quello che i miei genitori stipano nella loro stationwagon sono però due cose ben diverse. Mi viene in mente solo ora, con orrore, che probabilmente hanno comprato quel carrarmato con il preciso scopo di riempirlo fino al tetto quando mi vengono a trovare. A puro titolo di esempio, ad ottobre mi hanno prtato due cartoni di olio extravergine d’oliva biologico da dodici bottiglie l’uno! Anche con la nostra media di tutto rispetto – una bottigli ogni tre settimane – è olio per un anno e mezzo, cribbio!
Questo ottobre mamma mi ha portato anche la macchinetta a manovella per la pasta all’uovo della nonna. Un’idea assolutamente geniale: utile e vintage! Mi conosce davvero bene.
Un bel passo avanti rispetto al matterello dell’Ikea che ho sempre usato per tirare la pasta. Mi ha portato anche un bel tritacarne nuovo nuovo. Insieme alla forma smaltata anni ’60 per i ravioli che mi aveva portato l’anno scorso, ho ritenuto doveroso fare al più presto i ravioli dela nonna, senza magari ripetere il siparietto estenuante dell’ultima volta.
Ma non é andata liscia come pensavo… (segue)
PS Una menzione speciale va alla porchetta sottovuoto, che mamma mi manda per posta nei mesi più freddi