Il Dottor Frankenstein per cena
Il nostro stile di vita influenza quali alimenti compriamo, cuciniamo e portiamo in tavola. Essere vegetariano o vegano, ad esempio, tanto per stare sul banale. Ma anche questioni più di salute, che so, avere la pressione alta, o essere diabetico, celiaco, intollerante a certi alimenti. O anche, semplicemente, seguire dieta dimagrante. Ecco, ho scritto la madre di tutte le banalità.
Il Fidanzato Asburgico ed io siamo sanissimi, non abbiamo intolleranze, non siamo a dieta, non siamo vegani. Nemmeno vegetariani, al massimo una vaga tendenza a limitare la quantità di carne che consumiamo. Come mai allora ci ritroviamo regolarmente a cenare con il Dottor Frankenstein?
Me ne sono resa conto l’altra sera, quando abbiamo consumato l’ennesima cena che non c’entrava niente. Il menù sembrava la parata di apertura dei giochi olimpici: Curry verde di pesce con cipollotto e latte di cocco a rappresentare la Tailandia; insalata mista con sale, olio e aceto balsamico per l’Italia; cavolo cinese in agrodolce per la Cina; pane di farro integrale per l’Austria. Ah, dimenticavo, insieme ci abbiamo bevuto un ottimo Sauvignon Blanc cileno…
Non siamo nuovi a queste mescolanze, solo che ieri è capitato proprio dopo una cenetta alla Cracco, in cui la combinazione delle portate era veramente raffinata. Con le melanzane alla menta, infatti, avevamo mangiato un filetto grigliato, insalata di spinaci freschi e focaccia al rosmarino. Sigh.
Il ritorno alla realtà – il Dottor Frankenstein è un nostro ospite regolare – è stato una piccola doccia fredda. Perché la verità è che i pasti ben coordinati ci piacciono moltissimo. Il problema è che io ho una mania, una fissazione, che si ripercuote pesantemente sui nostri menù: io detesto buttare via la roba da mangiare. Con il passare degli anni, poi, questa ossessione non accenna affatto a migliorare, anzi, l’impressione è che io stia affinando la tecnica e mettendo in pratica procedimenti sempre più machiavellici per raggiungere il mio scopo supremo: la pattumiera vuota.
Ho rinunciato, ed esempio, a fare quelle belle spesone del sabato, dove esci dal supermercato con il carrello strabordante e una volta a casa ti ritrovi il frigorifero bello pieno. Che in questi tempi di crisi mette addosso tanta sicurezza. Invece no, vado al supermercato quasi tutti i giorni, con il menù della cena in tasca. E compro solo quello che mi serve. Non ne potevo più, infatti, di buttare via verdure ammuffite. Negli ultimi sei mesi – lo scrivo scoppiando di orgoglio – ho buttato via mezza cipolla, mezzo barattolo di marmellata di albicocche e un terzo di una lattina di pelati. Son soddisfazioni.
Quando avanza qualcosa – una porzione di zucchine trifolate o due dita di vino in fondo alla bottiglia, non importa – mi sforzo di farmi venire in mente qualcosa per usarlo immediatamente. È per colpa di questo meccanismo, ecco, che saltano fuori le cenette di Frankenstein. A volte riesco a mimetizzare la pietanza creativa nel menù. A volte meno.
L’altra sera, ed esempio, avevo molti avanzi in frigo. Troppi. Un porro che avevo comprato per un’altra ricetta e poi me ne era servito manco la metà. Pensando a lui e alla lattina di pelati aperta dell’ultima pizza, ho comprato del pesce surgelato. L’idea era di prepararlo come fa mia mamma, saltare un po’ d’aglio e porro nell’olio, cuocere il pomodoro, buttarci dentro il pesce, coprire di basilico fresco – la piantina è lì nel Wintergarten dagli spaghetti al pomodoro, per i quali alla fine avevo preferito la scorza di limone. Geniale. Solo che dopo aver fatto appassire il porro nell’olio mi sono accorta con orrore che i pelati erano pieni di muffa! Ho quindi aggiunto una bella cucchiaiata di curry verde, aperto una lattina di latte di cocco e sforbiciato sopra il basilico. Era ottimo, per altro.
L’insalata era in frigo dal giorno prima, andava assolutamente mangiata. Ma era finito l’olio di sesamo, non avevo ne limone ne limette, e non potevo condirla più orientale di così. Idem per il cavolo cinese, sul quale abbiamo versato, sghignazzando, della salsa Teriyaki. Perché come dice il Fidanzato Asburgico
“Un po’ di Giappone non ha mai fatto male a nessuno!”
Il pane integrale l’avevo fatto io con le mie manine sante e Hauspilz due settimane fa e poi surgelato a pezzi. È una rarità, dato che io preferisco di gran lunga il pane bianco. Ma avevo lì un chilo di farina di farro integrale, avanzo della dispensa di un’amica che si è trasferita all’estero. E usare farina salvata dalla pattumiera di un trasloco altrui era una tentazione troppo romantica, integrale o no.
La cena dell’altra sera era effettivamente particolarmente accozzaglia, persino per i miei standard. E dato che la cucina e la dispensa, a casa nostra, sono saldamente in mano mia, ho sempre un po’ paura di brutalizzare il Fidanzato Asburgico. Abbiamo quindi ragionato un po’ sopra a questo mia spasmodico riciclo dell’avanzo alimentare. È un’operazione onesta? Vale la pena?
Che l’operazione sia onesta mi pare evidente. Nella vita, infatti, ognuno è libero di fare le scelte che vuole, ma ci sono scelte che sono più degne di altre. Chi non è vegetariano, ad esempio, ne ha tutto il diritto. Ma deve sempre portare rispetto a chi lo è, perché essere vegetariani, rigirate la storia come volete, è sempre più sano, più ecologico, più etico. E anche produrre poca spazzatura al posto di tanta è cosa buona e giusta.
La domanda vera era quindi se ne valesse la pena. Per me si, sicuramente. Ma per il Fidanzato Asburgico? Li mangia volentieri anche lui ‘sti pranzetti patchwork?
La sua risposta mi ha leggermente sorpreso. Mi aspettavo che magari assecondasse questa mia malattia, o che la tollerasse. O persino che la condividesse. La posizione del Fidanzato Asburgico su cosa io scodelli nel piatto è invece di una semplicità disarmante:
“Pesce al curry? Ottimo!”
“Insalata? Deliziosa!”
“Cavoli stufati? Eccellenti!”
“Pane di farro integrale? Mi ricorda la mia infanzia, ahh!”.
Cioè per farlo contento è sufficiente che i singoli componenti di un pasto siano buoni. Che stiano bene uno accanto all’altro può anche essere un caso, una coincidenza, o un lusso da concedersi ogni tanto. Come la bistecca.
Incredibile, a volte la semplicità con cui funziona il cervello maschile ha i suoi lati positivi!