Come ci si “vende” ai capi per fare buona impressione?
Originariamente pubblicato su Italians il 18.09.2012
Caro Beppe e cari Italians, li conoscete quegli articoli da mensile patinato “come vendere bene se stessi”? L’altro giorno ho letto l’ultimo di una luga serie. A quanto pare al giorno d’oggi senza fare un po’ di auto-marketing sei assolutamente fregato! E via di consigli su come presentarsi al meglio, come sottolineare i punti di forza, come trasformare i difetti in USP – unique selling point, che suona anche molto più figo. Come trasformare un bicchiere d’acqua del rubinetto tiepida in una bottiglia di San Pellegrino in cinque mosse. A prima vista sembra tutto molto sensato. Se vuoi che il capo ti prenda in considerazione per la promozione devi farti notare. Ci sono poi professioni dove, francamente, saper vendere se stessi è sinonimo di saperci fare… le vendite, il marketing, la pubblicità. La prostituzione, a pensarci bene. Ma gli altri? Il ragioniere che sa vendersi meglio, sarà anche il ragioniere migliore? E il magazziniere? Il programmatore? Chiunque non abbia neanche remotamente a che fare col pubblico? Vorrei tanto poter chiedere ai capi in base a quali elucubrazioni decidono a chi darla, ‘sta benedetta promozione! Perché devo essere io – povera contabile di turno – a tessere ragnatele di “prodotto, prezzo, promozione e point of sales” (le famose 4P del marketing) senza peraltro capirci un tubo? Vogliamo rimettere la responsabilità di riconoscere i talenti al posto da cui l’abbiamo inavvertitamente spostata? Capire chi è in gamba è compito del capo, accidenti! E il collega-bicchiere-d’acqua-tiepida scavalcata dal collega-Coca-Cola ha subito un torto. E invece è il primo, porello, a rimanere con la sensazione di aver sbagliato qualcosa. Saluti da Vienna,
Monica Mel