The Scalogno Project – 2/60 Bucatini all’Amatriciana
Prima di cominciare a cucinare Lo Scalogno non mi ero posta domande particolarmente caloriche. Il Fidanzato Asburgico non sarà sottopeso ma è in grado di reggere senza problemi una cena sostanziosa ogni tanto; io poi sono una di quelle che si becca commenti sulla sua magrezza più volte al giorno, tutti i giorni, da conoscenti e sconosciuti. Dopo i bucatini di ieri, invece, mi sono brevemente interrogata sulla necessità di farci dare una controllata anche al colesterolo, prima di andare avanti. I bucatini all’amatriciana ci si sono infatti piazzati sullo stomaco come sassi.
La vera sfida di questa ricetta non è stata comunque la digestione, che è durata più del previsto, ma sempre meno della caccia al guanciale in quel di Vienna. Quest’ultima ha richiesto prima un pomeriggio di ricerca a vuoto, poi ventitré telefonate (e una decina di spiegazioni ingarbugliate su quale sia la differenza tra speck e guanciale) e per coronare un giro in autobus e una breve scarpinata dopo il lavoro (che per me, ci tengo a precisare, non vuol dire le cinque, ma piuttosto le sette e mezza/otto di sera). Il guanciale alla fine sono andata a comprarlo in un piccolo locale italiano, ed ho ovviamente ignorato l’avvertenza del libro attenzione: usate sempre guanciale e non pancetta, e fate attenzione quando lo chiedete. Scusa, Cracco, ma attenzione a cosa? Io ho leggere difficoltà a distinguere lo speck dal prosciutto crudo, mi salva solo la dimensione, e questo è l’unico guanciale che ho scovato tra una trentina di negozi di gastronomia sopraffina, due terzi dei quali italiani. Più attenzione al guanciale di così, davvero, non era possibile.
Dato che nel locale avevano l’affettatrice, alla domanda se il mio etto e mezzo lo volessi in un pezzo intero o già tagliato, avevo risposto sollevata
“A fettine sottili, come richiede la ricetta. E grazie mille, mi risparmiate mezz’ora di massacro col coltello poco affilato che ho a casa!”
Una volta a casa, le cipolle già appassite in padella, ho aperto il pacchetto e trovato delle fettacce spesse due millimetri, che su un lato avevano ancora la cotenna. Ci sono rimasta malissimo. L’avessi comprato in un posto leggerente più accessibile, glielo avrei riportato indietro; ma guanciale era, e – seppur smadonnando – l’ho usato.
Ma andiamo con ordine: i bucatini all’amatriciana di Cracco sono un’altra ricetta che prevede una lista striminzitissima di ingredienti. Tanta più attenzione hanno meritato.
Bucatini, check!, guanciale, check!, cipolla bianca o cipollotto, check!, aglio, check!, olio evo o burro, check!, peperoncino in polevere o un peperoncino intero, check! – anche se i peperoncini di Cracco devono essere minuscol. I miei, calabresi doc, sono delle sventole lunghe come il mio mignolo, e ho ridotto parecchio la dose per ovvi motivi di sicurezza.
Ho cominciato appassendo il cipollotto in padella, piano piano. Poi ho aggiunto l’aglio, e se l’altra volta mi era dispiaciuto togliere e buttare via lo spicchio d’aglio intero, questa volta ho sospirato di sconforto. L’aglio andava messo in padella incamiciato, cioè con tutta la buccia! Solo (cit.)leggermente schiacciati con il palmo della mano. E Cracco deve avere delle mani di ferro. Ci ho pensato su un attimo, poi ho realizzato che le mani di ferro ce le ha anche il Fidanzato Asburgico, e ho chiesto aiuto a lui. Il primo spicchio l’ha spiaccicato che dopo sembrava Wile Coyote sul fondo del canyon. Poi ci ha preso la mano, e me ne ha prodotti due che parevano perfetti (no, perché messa di fronte alla scelta tra uno o due spicchi, io ne metto sicuro due). Quando li ho tolti dalla padella, prima di buttarli, ho fantasticato brevemente di sciacquarli sotto al rubinetto, asciugarli e riporli amorevolmente in frigo.
A leggere la ricetta sembrerebbe che la difficoltà più grossa sia far appassire la cipolla senza che questa bruci. Cosa che, tra burro e grasso di guanciale – e credetemi, 150g sono un’assurdità – mi è parsa invero difficilissima. Cracco consiglia persino di aggiungere un cucchiaio d’acqua di cottura della pasta per aiutare. Cosa che ho fatto diligentemente, nonostante la mia cipolla fosse bianchissima, perché mi pareva – chevvelodicoaffare – molto raffinato.
Per finire ho aggiunto la pasta scolata a due minuti dalla cottura al dente, e lasciata mantecare in padella. Ora, due minuti di cottura della pasta non sono pochi: possono fare la differenza tra bucatini troppo al dente e bucatini stracotti. I miei li ho scolati che mancava – secondo me – massimo un minuto, uno e mezzo. Ma dopo tre lunghissimi minuti in padella con cipolle e guanciale, la cottura non era avanzata affatto. Ora, bene seguire la ricetta diligentemente, ma noi poi ‘sta pasta la dobbiamo mangiare. E per cena non c’è altro. Ci ho messo su il coperchio e in un minuto era perfetta.
Quando l’abbiamo assaggiata le aspettative erano altissime. Gli spaghetti al pomodoro della volta scorsa ci avevano infatti piacevolmente sorpresi. I bucatini all’amatriciana no – erano buoni, per carità, e il guanciale (nonostante la cotenna che non avevo tolto, sennò poi cenavamo a mezzanotte) è molto meglio dello speck. Non ci piove. Ma ‘sta pasta era una mappazza grassissima! Altro che fuoco d’artificio per terminare un pasto leggero – come suggerisce Cracco. Il Fidanzato Asburgico ha commentato serafico
“Con Lo Scalogno certamente non moriremo di fame!”
Cosa ho imparato? A non prendere troppo alla lettera le ricette di Cracco. Mi sono raffinata? Mah, forse un pochino. Credo infatti che non comprerò mai più lo speck a dadini nelle vaschette di plastica del banco frigo. Ho preso gusto al pezzo di speck da affettare sul tagliere.
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