The Scalogno Project – 1/60 Spaghetti al pomodoro
Se Vuoi Fare Il Figo Usa Lo Scalogno è diviso in tre sezioni, che raggruppano una ventina di ricette ciascuna. A ciascuna ricetta corrisponde poi una lezione di cucina e un tocco dello chef; quest’ultimo è sempre una variante o aggiunta alla ricetta base, e per aperta ammissione di Cracco, serve a fare figo. Mi sono ripromessa di studiare per bene le lezioni, di provare quelle che trattano temi di cui non so un tubo, e di preparare la ricetta con il tocco dello chef ogni volta possibile.
La prima ricetta, difficoltà livello I, non è precisamente quello che si chiama partire in quarta: spaghetti al pomodoro. Cioè una roba che io cucino un minimo di due-tre volte a settimana.
L’ultima volta, ora che mi ricordo, era venuta Bio-Emma, che ogni tanto passa per cena con il preciso scopo di guardarmi da sopra alla spalla mentre cucino. Per l’ultimo sugo rosso Emma aveva fatto una caterva di foto e preso appunti che manco all’università. Quello che più l’aveva impressionata era il fatto che io utilizzassi meno ingredienti di lei. Lei infatti nel sugo ci mette pelati, cipolle, aglio, sale, zucchero, olio, burro, origano, basilico e per sicurezza magari anche un pizzico di pepe. E questa è una cosa per la quale mi viene sempre molto da ridere. Provate a presentare agli ospiti asburgici un piattino di insalata caprese – due fette di mozzarella, due fette di pomodoro, due foglioline di basilico, un filo d’olio. Ohhh… ahhh… si sperticano in complimenti. Come se in cucina fosse più difficile usare pochi ingredienti al posto di tanti.
Bene, quando ho scritto la lista della spesa per il sugo di pomodoro di Cracco, mi è mancata la terra sotto i piedi. E ho capito cosa ci fosse nascosto dietro lo sguardo smarrito di Emma. Era talmente minimalista che è bastato un francobollo. Pomodori freschi, basilico o limone, aglio. E questo è quanto. Cioè più che da primo, il calibro della mia listarella era piuttosto da insalata, o caffè.
Sabato mi sono messa all’opera, con un giorno di ritardo dato che la sera prima mi ero accorta di non avere spaghetti in casa. Avevo le penne, le orecchiette, le linguine, i pizzoccheri, i vermicelli e delle tagliatelle di grano duro trafilate al bronzo che sono la fine del mondo. Ma spaghetti nisba – e per una ricetta che richiede quattro ingredienti in totale mi pareva doveroso non sbagliarne manco uno. Questo è il livello di serietà con cui affronto lo Scalogno Project, sapevatelo.
I miei spaghetti al pomodoro, li vedete nella foto qui sopra e assomigliano parecchio alla foto di Cracco himself, sono venuti fuori una delizia. Senza manco un cucchiaino-ino di parmigiano grattugiato, solo con i pomodori freschi appassiti in padella, lo spicchio d’aglio, e una grattata di buccia di limone per finire. Il Fidanzato Asburgico, che mi aveva vista spignattare ed era parecchio perplesso, quasi non ci voleva credere.
Buoni e raffinati, dunque. E molto lontani dal mio credo culinario, che potrei riassumere più o meno così: “schiacciaci dentro due spicchi d’aglio, aggiungi mezzo bicchiere di olio e una sforbiciata di prezzemolo sopra… non potrà che fargli bene”. Stavolta lo spicchio d’aglio l’ho messo a rosolare e poi l’ho tolto. Quando ho aperto la pattumiera per buttarlo mi piangeva un po’ il cuore.
Ricapitolando: non il mio stile, ma certamente di mio gusto. Questa dello Scalogno è forse una pensata meno balzana di quanto credessi. Ho da imparare.
PS Ho seguito il consiglio dello chef, e aggiunto agli spaghetti, direttamente sul piatto, il cuore gelatinoso del pomodoro. Meh.
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