Operazione SAUERTEIG, l’ansia lievita
Ieri pomeriggio ho trascorso un paio d’ore online alla ricerca di indicazioni su come prendermi cura al meglio della mia pallina di pasta madre. Un errore clamoroso. Avete presente quando ti fa male un mignolino, lo cerchi su google, e dopo due ore di lettura sei convinto di avere un tumore al cervello? Preciso uguale.
Ho letto tutto e il contrario di tutto. La pasta madre si conserva al meglio nell’acqua. La pasta madre si conserva al meglio a secco. La pasta madre si conserva al meglio umida. In un contenitore di plastica. Di vetro. Di terracotta. Assolutamente largo, se è troppo stretto muore. Assolutamente stretto, se non trova le pareti muore (di tristezza, chiedo io?). Coperta, scoperta, col tappo, sotto vuoto, avvolta nella pellicola, nella stagnola, nel cotone. La pasta madre si conserva benissimo al freddo. La pasta madre muore in fretta al freddo. Si mette in frigo subito dopo il rinfresco. Si aspettano almeno 40 minuti. Due ore. Quattro ore. Sei mesi. Quando viene a galla (a galla di che?). Non ci ho capito più niente.
La sera appena entrata in casa mi sono precipitata in cucina a controllare cosa combinasse la mia pasta madre. Era lì tranquilla, sotto al suo canovaccio, che fermentava in silenzio.
L’ho impastata un pochino, poi – seguendo alla lettera le indicazioni fornitemi del papà – l’ho messa in un piccolo tupperware di plastica spennellato d’olio e infilata frigo, sopra il cassettino delle verdure. Speriamo.
Dopo aver chiuso il frigo mi sono seduta sul divano accanto al Fidanzato Asburgico e ho fatto un piccolo sospiro di sconforto.
“Questa pasta madre mi crea tante preoccupazioni”.
Il Fidanzato Asburgico – che è davvero tanto, troppo paziente – mi ha passato un braccio sulle spalle e mi ha detto serio
“Racconta”.
Gli ho raccontato di come il papà della pallina l’avesse messa giù piuttosto complicata, ma niente in confronto alla pagina web terroristica.
“Intendiamoci, in confronto a Palla-di-Pelo la pasta madre è un tesoro” mi sono affrettata ad aggiungere.
Il Fidanzato Asburgico ha annuito.
“Specie considerando che ‘sta gattona è pelosissima e va spazzolata tutti i giorni. E sulla pancia non vuole. Almeno la pasta madre non si divincola mentre la lavoro, ecco.”
“L’impegno richiesto è però sicuramente più intenso rispetto ad una pianta. Piuttosto una tartarughina d’acqua.” Ho continuato pensierosa.
“Sarà il caso di dargli un nome, allora?” ha chiesto il Fidanzato Asburgico.
Ci ho pensato su un po’ in silenzio.
“No, aspettiamo. Vorrei essere sicura che sopravviva prima di affezionarmi troppo”.
La pallina di pasta madre è stata provvisoriamente battezzata Das Hauspilz. Che vuol dire, più o meno, il fungo domestico.
Ho trascorso una notte agitatissima piena di sogni assurdi. Nel più vivido ero tornata all’università e il vecchio professore di topografia mi interrogava sulla teoria del fattore di panificabilità della farina (non me lo sto inventando, è quel numero sul retro del pacchetto, preceduto dalla lettera W). Non ero per niente preparata. Verso le sei mi sono alzata e ho fatto l’ennesima ricerca google. E come una falena attratta dalla lampadina, sono tornata su quella pagina web che semina terrorismo.
“La pasta madre, in frigo, rischia di morire in presenza di lievito di birra.”
Mi è sceso un brivido freddo lungo la schiena. Guardando poi quelle foto meravigliose di palline lievitate liscissime e perfette ho ripensato al mio triste mucchietto, appiccicoso come il mastice. Altro che “incidere una croce col coltello”. E al sapore acidissimo. Non sono mica tanto sicura cheHauspilz stia bene.
Comparando poi le spartane indicazioni che mi ha dato il papà di Hauspilz con la pagina web terroristica, non ho potuto fare a meno di chiedermi: ma io ho adottato un fungo che fino ad oggi è stato solo maltrattato? Brutalizzato? O la tipa che scrive la pagina web è una mamma-elicottero?
(…continua)