L’impero del Cappero

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Nel corso degli ultimi anni ho sviluppato una spiccata predilezione per l’upcycling di robe inutili. Il Fidanzato Asburgico la chiama passione, mia madre mania. Esprimo il mio meglio con i vasetti di vetro.

L’altro giorno finalmente la temperatura è salita sopra i 15 gradi – il mio limite personale per uscir fuori a trafficare – e ho tirato fuori vaschette, terra e semini per iniziare il giardinaggio primaverile in terrazza. Ho seminato prezzemolo e basilico, broccoli, bietole, timo e maggiorana. Poi mi è venuto in mente che a dicembre mia madre mia aveva mandato altri semi per posta. Tra i quali i semi di cappero.

Ora, il cappero da queste parti è relativamente esotico, non l’ho mai visto in nessun vivaio o fiorista. Né i semi né la pianta. Solo al supermercato, da mangiare.

Mi erano giusto avanzate lì due vaschette per far germogliare i semi, di quelle pre-formate, 24 tazzine da riempire di terra col sottovaso per raccogliere l’acqua, e il coperchio trasparente. Ho immediatamente elaborato un piano che non esito a definire geniale: piantare tutte e 48 i pirottini con i suddetti semi, aspettare che le piantine crescano a sufficienza, trapiantarle in graziosissimi vasetti di vetro riciclati con un paio di graziosissimi sassetti sotto di drenaggio, appenderci delle graziosissime etichette con uno straccio di indicazioni, fotografarle super instagrammose, venderle online a 5€ l’una. Ci vorrà massimo un sacco di terra, i cartellini li ritaglio da cartoncini di recupero – mica devono essere tutti dello stesso colore. Nastrini e fili colorati ne ho scatole e scatole, sassolini ce ne trasciniamo due sacchi dal vecchio giardino ancora incartati. Vasetti sono piena.

Mentre elucubravo ha iniziato a fare freschino e sono rientrata. Ho raccontato al Fidanzato Asburgico la mia meravigliosa idea, e mentre parlavo gli ho anche fatto un bello schemino con tanto di hard-facts e business case sul ripiano bar della cucina. Lui è rimasto molto impressionato e ha insistito per fotografarlo e per aggiungerlo intero qui sotto, nonostante fosse realizzato in quel brutto Denglish. Denglish è l’acronimo di Deutsch e English, tedesco e inglese, ed è anche un po’ il nostro viziaccio, specie in forma scritta. Ci sono momenti poi, come ora, in cui lui ha tanti meeting in inglese e io magari sto leggendo un libro in inglese, e tocchiamo il fondo. Ma sto divagando.

Dicevo, questo piano fantastico, finalmente verificato bianco su nero, l’ho voluto battezzare Das Kapern-Imperium. Un bel nome, non c’è che dire, specialmente se stai pensando in Denglish e la traduzione italiana viene solo dopo: L’impero del cappero.

Ah, la madrelingua! Sempre così pregnante.