GUEST! – 20 Anni all’estero: si resta ancora italiani?
Stamattina uscendo dal portone al posto dei -6°C e la neve di ieri ho trovato una temperatura leggermente sopra lo zero. La strada faceva schifo, per carità, piena di sassolini e schifezze chimiche, ma buona parte del marciapiede era libera da fango e paciacchera. Incamminandomi – cercando di trovare il giusto compromesso tra restare lontana dal cornicione che cadono blocchi di ghiaccio ma anche dai mucchi di neve zozza ammassati di lato, ho sospirato e pensato “Ma che bel tempo che c’é oggi, non fa nemmeno troppo freddo!”
Poi mi è venuto da ridere. 2 Gradi, nuvoloso, un ventaccio che mi si è subito sciolto il mascara, e io ero lì tutta pimpante. Ho pensato a Rossella e alla sua lettera ad Italians di ieri. Eccola:
Tutto è cominciato quando mia madre in visita diceva che le tagliatelle sapevano troppo di uovo. Ho continuato a mangiarle con lo stomaco che si contorceva, e non per il gusto sbilanciato, perché, sinceramente, di quello non m’ero proprio accorta. E questo è il problema. No, non la pasta, che era una marca apparentemente italiana comperata a Monaco di Baviera. Il problema è la mia italianitá. Quando arrivai qui, 20 anni fa a 20 anni, pensavo che la mia nazionalitá fosse un dato dogmatico, un assioma. Io sono di origine garantita: padre sardo e madre calabrese, natali milanesi e allevamento brianzolo: è scritto nei miei pensieri, affetti primordiali, nel mio sguardo e sui peli delle mie braccia. Pensavo sarebbe rimasto per sempre cosí. E invece ora, lentamente, si fa strada una nuova consapevolezza: non viene dalla noia di teorie astratte, viene da milioni di passi in un luogo che non è il mio Paese, quintali di Brezel e pane coi semi di zucca, stipendi formulati in un’altra lingua, Guten Morgen e Gute Besserung, 15 gradi minus che tagliano le mani, due figli che mi dicono NEIN, la bici che corre su mille “Radwege”, un documento da Berlino e tasse mai pagate altrove che al Finanzamt; calici di Helles e Abendbrot, Lidl, Penny, vecchi marchi nei cassetti e uscite serene coi capelli spettinati. Succedono cose strane. Accade che guardo un film nostro e me ne sento inquietamente estranea: certo umorismo lo capisco, ma la comprensione si sta plasticizzando, i luoghi comuni piú ricordo che condivisione; capita che smonti l’importanza di un dettaglio, che beva – e apprezzi – il cappuccino dopo pranzo, che preferisca SAT.1 a Italia 1, e non concepisca un pasto con piú portate. Dunque la questione è: cosa crea la nostra identitá di patria? Nascita, educazione, o esperienza di vita? Che cosa si diviene, quando questi fattori, col tempo, si sovrappongono? Nell’era di facebook e del mondo globale, come la quotidianitá altrove riesce ancora a contaminarci? Ed è forse un sollievo?
Rossella Pittorru
Rossella ha quasi dieci anni di vantaggio su di me, che ho festeggiato undici anni in terra asburgica con un bel bicchiere di Grüner Veltliner giusto la settimana scorsa. Ma questa lettera avrei potuto scriverla io precisa identica.
Il primo campanello d’allarme suonò un paio d’anni dopo il trasloco – un periodo in cui mi sentivo ancora di passaggio in quel di Vienna e tornavo a Roma con ostinata regolarità. Tornavo anche per andare dal parrucchiere, che i colpi di sole come me li faceva Stefano in Viale Regina Margherita non li sapeva fare nessuno. Ero lì seduta imbozzolata in un asciugamano con le cartine in testa, tempi pre-smartphone, e allungai la mano per prendere una rivista. Lessi Novella2000 da copertina a copertina e a parte un paio di star hollywoodiane mi resi conto con orrore di non aver riconosciuto nessuno dei vip e pseudo-vip italiani. Archiviai la faccenda con una scrollata di spalle.
La faccenda era invece tutt’altro che archiviabile, anzi, era appena cominciata.
A guardarla dal lato oggettivo ci ho messo sei anni a disdire il contratto del cellulare italiano e quasi otto per chiudere un conto in banca che non avevo mai più toccato.
Il lato sentimentale è più ingarbugliato e la sensazione di non essere ne carne ne pesce quasi violenta. La domanda se io sia Austriaca o Italiana temo sia destinata a restare senza risposta. E forse è persino la domanda sbagliata.
Mi tolgo le scarpe in casa, cucino la pasta al dente; non ho le tende in camera da letto, faccio il caffè con la mokka tutte le mattine; parlo in tedesco col gatto, scrivo la lista della spesa in italiano (e poi la infilo nella tasca della giacca del Fidanzato Asburgico); servo la pasta con l’insalata di contorno, la stessa pasta che mi sono trascinata dietro in valigia perchè qui i vermicelli cottura 14 minuti non si trovano.
Rossellina mia, mi sorge un dubbio: saremo mica noi questo famosi Europei di cui tutti parlano?