Ancora d’integrazione e altri mali
(E poi la pianto, giuro! Almeno per qualche mese…)
Ho letto la contro risposta di Paolo alla mia di giovedì, e posso solo dire questo:
“Paolo! Quanto hai ragione!”
Per un attimo, ma solo per un attimo, mi è sceso un brivido freddo lungo la schiena. Non sarà mica che io, quella che ogni tre per due si riempie la bocca di integrazione, sono invece un’antipaticissima assimilata?
No, perché io mi spertico parecchio su quanto Vienna sia meglio di Roma. Come se non bastasse mi sforzo anche di non avere un accento italiano troppo marcato e addirittura, poco dopo essere arrivata, mi sono tinta i capelli! (Ma li ho scuriti, e questo tranquillizza).
Poi ho fatto mente locale, e ha realizzato una banalità: cioè che a fare paragoni tra l’Italia e i Paesi a nord delle Alpi la mia Patria ne esce sempre piuttosto male. Un fatto. Ma le cose che l’Italia sappiamo fare meglio le riconosco eccome. A mio modesto parere su moda, design e gastronomia non ci batte nessuno – senza falsi campanilismi. Sull’elasticità mentale pure, che quando non scivola nel tutti contro tutti, è decisamente una marcia in più. E ovviamente si porta dietro la capacità tutta italiana di saper reagire, bene e in fretta, agli imprevisti. E i valori famigliari – non mi vergogno di ammetterlo.
Poi mi è tornato in mente questo aneddoto, che mi raccontò un’amica anni fa. Anna, italianissima, era in Germania per una serie di conferenze. Un bel pomeriggio, mentre era seduta tra il pubblico, salì sul palco il nuovo relatore. Preciso sputato Renato Zero. Ad Anna sfuggì un risolino divertito, e si guardò subito intorno per cercare lo sguardo dei presenti, per condividere il divertimento. Invece erano lì tutti serissimi a prendere appunti. Anna, purtroppo, era l’unica Italiana in sala.
“Monica, non mi crederai ma non mi sono mai sentita tanto sola in vita mia”.
Le ho creduto, eccome se le ho creduto.
Cultura, dice Paolo. E io sottoscrivo. Ma non c’è bisogno di prendere una o due lauree in filologia tedesca e saper suonare il violoncello. Un’infarinata di storia, una piccola lista di film cult in lingua tedesca da guardare con calma, ascoltare con attenzione i racconti dei ricordi d’infanzia dei locali. E passa la paura.
Stare insieme tra compaesani, infatti, è un piacere perché sai esattamente qual è il retroterra culturale della persona che hai di fronte. Che non vuol dire saper leggere il greco antico o disquisire di Verga e Pirandello, ma banalmente sapere che tutti hanno studiato I Promessi Sposi a scuola e possono intonare all’unisono “Addio monti sorgenti dall’acque…”, che tutti conoscono il jingle del telegiornale delle venti, e sanno a memoria i testi delle canzoni di Battisti. Condivisione. Solo quando ti levano queste certezze (e nessuno intorno a te riconosce Renato Zero), ti accorgi che esistono.
E proprio per questo un po’ di malinconia, ogni tanto, sale a tutti. Perché quando mi incontro di fronte al ristorante con gli amici mitteleuropei, non posso esclamare
“Eh! Quanti siete? Che portate?”.
Perché loro non mi risponderanno in coro
“Un fiorino!”.
Arrivare a Vienna intorno ai trent’anni vuol dire che ti sei perso tanto. Non sei andato a scuola qui e hai ben altri ricordi; lo sapevate che in Austria i bambini della mia generazione si toglievano le scarpe e a scuola infilavano le ciabatte? E che nelle ore di sport imparavano a sciare?
Non hai visto gli stessi cartoni animati e filosofeggiato se la sigla di Jeeg Robot la cantasse davvero Piero Pelù; lo sapevate che in Austria negli anni ’70-’80 andava per la maggiore un cartone animato per bambini chiamato Der Maus auf dem Mars (il Topo su Marte), una co-produzione tedesco-austro-svizzera-ungherese-jugoslava, se possibile ancora più deprimente del dolce Remì?
Potrei andare avanti per ore con queste storielle. Ma il succo è quello: cambiare Paese è sempre un rischio. Da una parte devi farti un mazzo tanto per integrarti. Dall’altro ti devi rifare il mazzo per non perdere il contatto con l’Italia, per non scivolare nel nostalgico, quello con i ricordi fermi alla data dell’espatrio. Che a lungo andare si scivola ne L’Albero degli Zoccoli.
Ecco, alcune cose qui a Vienna non le capirò mai, altre non mi interessano, altre le guardo ancora con sospetto. Ma posso, devo, sforzarmi di capire. Posso, anzi voglio, condividere molte cose, e dopo, fatalmente, mi sentirò più a mio agio. Ecco il motivo per cui sono contraria agli Italiani all’estero che frequentano esclusivamente altri Italiani. Perché se io, al cinema, nel 1992 non ho visto Muttertag, bensì Puerto Escondido, posso sempre rimediare. Muttertag – una satira feroce sulla piccola borghesia asburgica – l’ho visto tre anni fa, quando il mio tedesco ha finalmente raggiunto un livello appropriato. La settimana dopo ho costretto il Fidanzato Asburgico a guardareNon Ci Resta Che Piangere. In Italiano. Senza sottotitoli. Solo con la mia traduzione simultanea – un disastro! Ma, sinceramente, non ce la facevo davvero più a tollerare questo crepaccio culturale fra di noi.
PS Paolo, ai separati bisognerebbe spiegare in fretta cos’è lo shock culturale. Che se lo conosci magari non lo eviti, ma sicuramente lo tieni meglio sotto controllo.