Votare o non votare, questo è il dilemma

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Gli Italiani all’estero si trovano spesso di fronte a grossi dilemmi morali. E, incredibilmente, non sempre a tema gastronomico. Regolarmente infatti ci arriva il plico bianco dal Consolato, con dentro le schede elettorali per votare dall’estero. E le discussioni si sprecano.

Sabato pomeriggio, ad esempio, ho perso un sacco di tempo su un gruppo facebook nel quale si incontrano Italiani che vivono in Austria. Il tema principale è, come sempre, per chi votare. E, credetemi, tra i residenti all’estero – che ne hanno le scatole sommamente piene di venir presi in giro per le gaffe e le sparate di Berlusconi – il tema è molto sentito.

Io invece, col voto dall’estero, ho un problema di fondo.

La mia posizione è semplicissima, anche se non raccoglie troppi consensi tra i connazionali. Io infatti mi rifiuto di votare. E non semplicemente per mancanza di candidati che rispecchino il mio modo di pensare, o in segno di protesta contro una classe politica da suicidio. Io proprio trovo sbagliato votare dall’estero.

Cerco di spiegarmi: io sono residente a Vienna in pianta stabile. Pago le tasse in Austria, vado dal medico qui, se perdo il lavoro prendo il sussidio di disoccupazione qui, se avessi figli li manderei a scuola qui. A che diritto esprimere un voto in Italia?

No, perché votare significa dare un mandato a qualcuno che legiferi. E legiferare, scordandoci per un attimo fronzoli, fiocchetti, malaffare e compagnia bella, significa decidere come e quanti soldi raccogliere di tasse e come spenderli, questi soldi. Quindi io con il mio voto vado a mettere il becco in un sistema che non mi riguarda, del quale poi non usufruirò e del quale non subirò le conseguenza.

A parte alcuni blandi, blandissimi consensi, i connazionali mi danno addosso con vigore, quasi con astio.

Sara: “Non hai nessuno a cui tieni in Italia? Famigli, amici?”

Io: “Certo che ho famiglia e amici in Italia! Che c’entra? Ho famiglia anche in Brasile e amici in Olanda, mica pretendo di votare pure lì!”

Paolo: “Ma sei sicura che un giorno non tornerai in Italia?”

Io: “Non sono sicura, no, e il giorno in cui deciderò di tornare in Italia pretenderò anche di votarci!”

Federica: “Il diritto di voto per gli italiani all’estero é stata una conquista. Tutti noi siamo italiani, e in quanto tali ci dovrebbe interessare quello che succede in Italia. Tu fai come lo struzzo”

Io: “Ma io non rinuncio a votare per mancanza di interesse, anzi, sono probabilmente più informata della maggior parte degli Italiani d’Italia! Io non voto per principio!”

Mario: “Esprimere la propria preferenza è dovere dei cittadini, puoi non pagare le tasse in un Paese ma penso che nel tuo cuore ci sia amore per l’Italia, no?”

Io: “Il voto come manifestazione d’affetto? Stiamo scherzando?”

Yuri: “Non votare corrisponde ad accettare quello che gli altri decidono. A me personalmente questo disturba: preferisco sentirmi parte attiva!”

Io: “Infatti se vivessi in Italia voterei di certo! Ma essere parte attiva non vuol dire, appunto, viverci, dopo le elezioni, sotto questo governo che si è contribuito o meno a votare?”

Aldo: “I tuoi antenati, la tua famiglia e i tuoi amici sono in Italia!”

Io: “Mah, gli antenati sono morti, amici e familiari ci pensano loro a votare in prima persona!”

È questo il punto: io pago le tasse in Austria. E in Austria voglio votare!

Invece qui non mi lasciano, o almeno mi lasciano solo alle amministrative. E per una perversione tutta Viennese – che è città ma anche Bundesland contemporaneamente – significa che non voto nemmeno per il sindaco, ma solo per il distretto (cosa che peraltro faccio con maniacale puntigliosità). Eleggo quindi il Bezirksvorsteher, che poi decide se piantare tulipani o ranuncoli nelle aiuole locali. Oltre al danno la beffa.

Alcuni mi hanno poi scritto che se proprio voglio votare in Austria mi basterebbe prendere la cittadinanza austriaca. Ma io non voglio la cittadinanza austriaca! Io sono e resto Italiana! Con qualche commistione asburgica magari, ma la nazionalità non è una cosa burocratica. È una roba di testa, di pancia e di cuore. E il mio passaporto con il timbro dell’Ambasciata d’Italia è parte di me. E pur di tenermelo, ingoio la rabbia e rinuncio a votare. Mario, se non è amore questo!