Londra Londra delle mie brame

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Qualcuno una volta sosteneva che al mondo esistano solo due tipi di persone: quelli che amano i cani e Parigi, e quelli che amano i gatti e Londra. Non c’è che dire, la classificazione per eccellenza dei caratteri umani. Io comunque, per non saper né leggere né scrivere, mi ci ritrovo in pieno. Palla-di-Pelo tutta la vita e Londra, se mai fosse possibile.

No, perché io sbraito parecchio su quanto sia meravigliosa Vienna, e la qualità della vita, e la cultura, e prendere la vita con scioltezza, e bla bla bla… ma ogni volta che vado a Londra mi manca il fiato. Per citarmi da sola:

Londra, non importa da che parte del mondo tu arrivi, ti fa sempre sentire un po’ provinciale. Nel bene e nel male.

Oh, davvero, ogni santissima volta, sono ancora lì in fila all’aeroporto per il controllo passaporti (una cosa che mi fa sempre molto esotico), mi guardo in giro, e realizzo che se quello che cerco è la multiculturalità, Londra è il posto dove stare. Chissà, forse l’ultimo rimasuglio del mio vecchio complesso da Finta Umbria.

Non starò qui ad elencare le cose che mi piacciono di Londra, un esercizio che sarebbe stantio da espletare e noiosissimo da leggere. Dico solo che non sono mai entrata in un museo. Se non quella volta, tre anni fa, al British Museum, perché volevo assolutamente vedere la stele di Rosetta; fortuna mia, l’attrezzo è praticamente nella lobby. Dentro e fuori, cinque minuti.

Io a Londra ho sempre fatto cose un attimo strane. Per anni, ad esempio, sono finita a cenare sempre nello stesso ristorante, Belgo. Puro caso, eh, ma il risultato è che andavo a Londra per mangiare cozze e patate fritte. Mi pareva una maledizione. Passata la fase Belgo iniziò quella Chinatown, e ancora mi domando perché. Una volta, addirittura, sono volata a Londra mattina per sera – una stancata pazzesca – per andare a mangiare pizzette in piedi al Reform Club, quello di Phileas Fogg e del Giro del Mondo in 80 Giorni. E io, l’avrete ormai capito, adoro collezionare esperienze strampalate.

Tipo il giro al supermercato – preferibilmente al Waitrose di Canary Wharf – a riempire il carrello di sciocchezze introvabili sia in Italia che in Austria. O andare apposta da Tesco per comprare un rotolo di pellicola trasparente con la confezione di plastica dura e la lama per tagliarla, che pare un gadget di Batman. Il Fidanzato Asburgico, che con la pellicola fa sempre delle scene à la Pippo con la sedia sdraio, è al settimo cielo.

Di Londra amo soprattutto quelle differenze, spesso ottiche, per cui tutto è leggermente diverso. Quasi bizzarro. Ma mai troppo. L’esempio più classico di cosa intendo è il traffico dal lalto sbagliato, che mi fa stare sempre sul chi vive. O la quantità ridicola di gatti che ti osservano passare da dietro alle finestre. (Oh, ma che gli danno da mangiare in UK ai gatti? Sono tutti giganti!). E la strana mancanza di cani a passeggio. Perché qui a Vienna si dice che sia più facile girare per la città con un cane che con un bambino; io – sprovvista sia di uno che dell’altro – posso solo immaginare, ma i cani qui non possono entrare praticamente solo nei supermercati e dal macellaio. Bar, ristoranti, negozi, tutti pieni di cani educatissimi accucciati sotto al tavolo; un paio di conoscenti se li portano pure in ufficio. Londra nisba.

Londra è piena strapiena di gente, ma incredibilmente non si ingolfa mai. Basta fare un giro di shopping in Bond Street in un qualsiasi pomeriggio infrasettimanale: sembra Via Condotti a Roma una vigilia di un Natale anni ’80, di quelli con la fila di Giapponesi davanti a Gucci e Prada. Ciò nonostante a Londra sembra tutto più piccolo, costruito e poi rimasto a corporatura media della gente dell’Ottocento. I corridoi della metro, stretti e tortuosi, e i suoi treni minuscoli, grandi la metà di quelli viennesi. Non a caso l’Underground ha compiuto 150 anni l’anno scorso, e li dimostra tutti. Specie se cerchi una scala mobile nella Zona 1. E quei ristorantini strizzati in palazzi vecchi e muffosi, che qui in Austria non gli darebbero l’agibilità manco per immagazzinare le patate. E invece hanno ragione loro. Se ci stanno un tavolino e due sedie, davvero, appostoccosì.

Londra mi fa anche sempre sentire un poco inadeguata, per primissima cosa con la lingua. No, perché io finché sto a Vienna, o ancora meglio in Italia, ricevo sempre una valanga di complimenti per il mio Inglese (che, confesso, parlo piuttosto freestyle). Appena messo piede su suolo britannico, invece, mi sento subito una povera deficiente. Capisco tutto, per carità, e sono sempre in grado di rispondere o di partecipare alla conversazione, decisamente chilometri oltre la fase abbecedario. Ma mi vergogno. Uh, quanto mi vergogno!

E anche un poco in pericolo, diciamolo. Le tasche piene di fazzoletti di carta sbausciati e cartine di caramelle, che a Londra non so se fai prima a trovare un cestino della carta straccia o a vincere la lotteria. O le sbarre alle finestre e gli impianti di allarme, che noi a Vienna stiamo al pianterreno e qualche volta d’estate abbiamo dormito con la porta finestra sul cortile aperta. L’avevamo dimenticata e la mattina dopo abbiamo riso come deficienti. A Londra no, non si ride sulla sicurezza. Due estati fa capitai a Londra per caso un paio di giorni dopo i famigerati riots, e mai dimenticherò le barricate di fronte alle vetrine dei negozi, che mi fecero un’impressione incredibile. Come anche gli ubiqui cartelli “if you see something suspicious please notify immediately the authorities”.

E i ritmi impressionanti con cui lavorano i londinesi. Perché Londra sarà cool & sparkling, ma per godertela come intendo io servono una barca di soldi. Che a Londra si possono anche fare, vero, ma lavorando come bestie e con una concorrenza spietata. A titolo di esempio, un’amica che è partita per un viaggio di lavoro la sera dell’ultimo giorno delle sue ferie natalizie, destinazione Chicago, per un meeting di una settimana. Si, proprio Chicago, dove fanno -50 gradi, e gli orsi polari allo zoo devono star dentro e non possono uscire a giocare perché fa davvero troppo, troppo freddo. Un meeting che in Austria, e spero anche nel resto del mondo, avrebbero cancellato senza battere ciglio. A Londra no, a Londra vanno a comprarsi le mutande termiche da spedizione sull’Himalaya da infilare sotto al tailleur e via. Sono altri livelli di business, probabilmente al limite della mia capacità di comprensione. O meglio, poco oltre. Infatti non smetto di chiedermi: che razza di livelli sono? Alta finanza? Bilderberg group? Illuminati??

Non so, forse Londra rappresenta per me – dopo la pacioccosità di Vienna – la sfida finale. Se potessi partirei domani.